Archivi del mese: gennaio 2012

Diciotto anni fa…

Diciotto anni fa nasceva un grande progetto politico.

Un nuovo modo di fare politica.

Un nuovo linguaggio, accessibile e chiaro.

Un nuovo percorso, ispirato ai principi di libertà e democrazia.

Diciotto anni fa nasceva un sogno.

Il sogno di un’Italia più libera e responsabile, meno statalista e più equa.

Un’Italia produttiva e più vicina a chi ha bisogno.

Un’Italia che fosse il luogo giusto dove nascere, crescere, studiare, lavorare, creare una famiglia e affontare la vecchiaia con serenità.

Un paese  amato e rispettato, all’estero così come dai suoi cittadini.

Questo era il sogno che iniziava diciotto anni fa.

Molto è stato fatto, ma non tutto.

E con la stessa speranza di allora, con la stessa determinazione, con lo stesso coraggio, oggi continuiamo ad affrontare la sfida.

Perché i giovani, soprattutto i giovani, hanno ancora voglia di sperare e di credere.

Hanno voglia di lavorare per un’Italia più giusta, più democratica,  più ricca, più responsabile nei confronti dei più deboli, capace di supportare i talenti, aperta al dialogo e al confronto.

Ed è proprio oggi, in questo importante anniversario, che i giovani di centrodestra confermano ancora una volta la volontà di lavorare affinché il sogno diventi finalmente realtà.

Quei giovani, quelle ragazze e quei ragazzi che, da 18 anni a questa parte si sono avvicinati alla politica, hanno imparato ad avere rispetto per la res publica e a lavorare per la propria comunità e per l’Italia intera.

Quei giovani che grazie a Silvio Berlusconi hanno iniziato ad amare il proprio Paese.

E a credere che un’Italia diversa, è ancora possibile.

Forza, Italia!!!!



Chi sarà il nuovo Capitan Confindustria?

Tempi duri per Confindustria.

Ma tempi assai più duri per la sua First Lady, Emma Marcegaglia, che il prossimo 24 maggio sarà cordialmente invitata a levare le tende da Viale dell’Astronomia.

Durissimi perché, ancora indecisa sul suo imminente futuro, sembra non aver sciolto le riserve sull’atroce dubbio: abbandonare del tutto la scena pubblica e rientrare in prima linea in azienda oppure lanciarsi definitivamente nel maremagnum della politica? (Con chi, perché, con quale maglia e con quali programmi scendere in campo sarebbe, a quel punto, solo un minuscolo e insignificante dettaglio….).

Oltre a questa scelta amletica, i tempi sono durissimi perché, seppur agli sgoccioli, il suo mandato non si è ancora  concluso che già i candidati alla successione si azzannano sui giornali senza nemmeno considerare il punto di vista (o le scelte) che la Lady d’acciaio potrebbe ancora compiere su alcuni temi scottanti.

Primo tra tutti sull’articolo 18 dello statuto dei lavoratori.

Che il Ministro Fornero sia determinato a rivederne i contenuti è fuor di dubbio.

Che Confindustria riesca a partecipare al dibattito assumendo una linea unitaria, a questo punto, sembra un po’ meno scontato.

Perché se i due massimi competitor alla nomina, Alberto Bombassei e Giorgio Squinzi, decidono di uscire allo scoperto prendendo posizioni diametralmente opposte in materia di licenziamento (come hanno fatto nelle ultime ore), significa sostanzialmente che, i due vicepresidenti si sentono liberi di esprimersi e quindi di iniziare la campagna “elettorale” con una chiara e definita linea indipendentemente dal Marcegaglia pensiero.

E già questo è già di per sé curioso.

Ma l’aspetto ancora più curioso è che, nei prossimi mesi, Confindustria dovrà necessariamente adottare una strategia in materia. E questa non potrà essere esclusivo appannaggio di Emma, ma dovrà tenere conto di quanto realmente richiesto da parte delle aziende associate.

E allora cosa succederà? Ci sarà una spaccatura interna? Ci saranno lotte intestine che avveleranno il clima? O ci sarà una vera e propria corsa all’elettore?

Perché, qualsiasi posizione assumerà Confindustria sul tema dei licenziamenti, questa sposerà  la tesi secondo cui la revisione dell’articolo 18 non è prioritario o quella che invece spinge verso una maggior flessibilità in uscita.

E di conseguenza appoggerà automaticamente uno dei due candidati, Squinzi (favorevole al mantenimento dello status quo) o Bombassei (per cui la revisione è indispensabile).

La “battaglia” è ormai iniziata.

A noi spetta il compito di stare a guardare.

E soprattutto di valutare se la Marcegaglia saprà concludere il proprio mandato all’insegna del buonsenso visto che la decisione sull’articolo 18 riguarda non solo le guerre intestine a Confindustria, ma soprattutto 
tutto il resto del Paese.



Il Telegraph e il caso Martone

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A distanza di 24 ore il “caso” Martone tiene ancora banco.

Non solo su twitter, dove ormai si é scatenato il Toto-sfigato (se a 28 anni non sei… ), ma anche sulla stampa estera che, come sempre, racconta quel che succede nella stravagante Italietta con l’ approccio tipico del saggio che richiama l’attenzione dell’allievo più discolo. Cioè un misto di condiscendenza e arrendevolezza di fronte a un caso ormai dato “per perso”.

Al di là della supponenza e superiorità che i paese esteri dimostrano regolarmente nei nostri confronti, ho trovato l’articolo del Telegraph (che pubblico integralmente, scusandomi con quanti non sono proprio avvezzi alla lingua inglese) interessante in un passaggio.
Quello in cui si demarca la differenza tra sistema universitario britannico e quello italiano.
Nel primo, come scritto da Squires, si hanno a disposizione massimo quattro anni per giungere al completamento degli studi.
In Italia, invece, gli stessi possono essere prolungati per più anni, senza incorrere in alcun meccanismo sanzionatorio se non quello relativo al pagamento delle tasse dei “fuori corso”.

Ecco, quindi, il punto centrale, secondo me, su cui bisognerebbe focalizzare l’attenzione. Non tanto il grado di sfigataggine di un ragazzo, quanto piuttosto se sia opportuno o meno tenere aperta una finestra per dieci anni o più per giungere alla laurea.
Si noti bene che in dieci anni può capitare di tutto.
Almeno una riforma scolastica-universitaria, puntualmente, ogni 5/6 anni arriva.
Ma anche in termini di contenuti. Un ragazzo che si iscrive a giurisprudenza e sostiene l’esame di penale all’inizio del percorso, se si laurea 8-9 anni dopo e senza un aggiornamento, ha buone probabilità di avere un bagaglio conoscitivo obsoleto e quindi poco utile.
Stesso discorso per economia, chimica, medicina, etc etc.
Allora che senso ha lasciare così tanta flessibilità temporale?

Non é forse il caso di considerare, per una volta, ma solo una, che il modello britannico sia un pochino meglio del nostro?

Italian minister under fire for saying students who drag out degrees are ‘losers’

By Nick Squires
Last Updated: 12:01PM GMT 25/01/2012
An Italian government minister has been criticised after saying that students who drag out their degrees for years are “losers”.

Calling for a radical change of culture among the country’s university students, Michel Martone, the deputy welfare minister, said: “Anyone who hasn’t graduated by the age of 28 is a loser.”

Unlike in Britain, where degrees take three or four years to complete, in Italy students have an unlimited period of time in which to sit and pass the exams set by their particular subject.

While students from poorer families often take a long time to graduate because they have to take spare-time jobs in order to support themselves, there are tens of thousands of better-off undergraduates who seem content to prolong their student days indefinitely, living at home and sponging off their parents.

They are known in Italy as “bamboccioni” – “big babies” who refuse to fly the nest and remain at home into their thirties and even forties, delaying marriage, careers and having children.

The minister’s remarks unleashed a tirade of furious condemnation from student groups and unions, with undergraduates taking to Twitter and Facebook to accuse Mr Martone of being a privileged “yuppie” who had no concept of the difficulties they faced.

His comments appear to have touched a raw nerve at a time when swingeing cuts to education and other sectors are being introduced by the technocrat government of Mario Monti, the prime minister, in an attempt to tackle Italy’s 1.9 trillion euro national debt.

One student union called for his resignation, saying that grants were so inadequate that 40 per cent of undergraduates had to take part-time work to put themselves through college.

The country’s biggest union, the CGIL, said the high rate of delayed graduation was a result of years of underinvestment in tertiary education by successive governments.

Politicians also weighed into the debate, with Massimiliano Fedriga of the Northern League saying: “Martone has offended students who have to work in order to support themselves – it is for this reason that they are not able to graduate earlier.” Economists say Italy risks creating a “lost generation” of young people who are stymied by closed-shop work practices, a lack of meritocracy and companies’ unwillingness to give them full-time contracts.

Nearly a third of Italians aged between 15 and 29 are classified as NEET – Not in Education, Employment or Training.

Stung by the criticism, the minister later moderated his opinions but insisted that the point he was making was a fair one.

“Those students who come from families with difficult situations and have to take two jobs, and still manage to graduate, are fantastic, they are heroes.

“But I was talking about the others – there’s a lot who don’t work and live with their parents and take 10 years to graduate.

“I may have used the wrong words, but I touched on a painful truth – there are two million young people in Italy who neither work nor study.” That had to change if the country was to dig its way out of the economic doldrums and have a future, he said.


Martone ha ragione. Ma fa figo dire il contrario.

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In tempi in cui la ricerca del consenso, dell’acclamazione, del retweet é fondamentale al punto da diventare quasi indispensabile per sentirsi “qualcuno”, io vado contro corrente.
E decido di dire, come ho sempre fatto d’altronde, quello che realmente penso.

Martone ha ragione.

E, con un linguaggio diretto, spregiudicato e poco politically correct, ha condensato in un’unica parola un concetto sacrosanto.
“Se a 28 anni non lavori e non sei laureato sei uno sfigato”.

Ma sfigato nel vero senso del termine.
Perché se a 28-30 anni non hai ancora raggiunto la laurea, e non hai impegni lavorativi che, ovviamente, ti distolgono dai tuoi doveri da studente, allora l’unica spiegazione é che tu abbia avuto dei problemi di altro genere, ad esempio familiari o di salute.
In gergo ggggiovane, quindi, sei stato sfigato perché hai avuto delle “sfighe”.

E, nota bene, questa non é una giustificazione o una tesi difensiva del giovane ricciolone viceministro.
Al contrario.
É solo il preliminare a quello che avrebbe dovuto aggiungere.
Perché se a 28 anni non sei laureato, non sei lavoratore (o appena uscito dal mercato del lavoro, vista la crisi, ma questa é una delle cause che infilo nella seguente voce “sfiga- da leggersi come problemi di altra natura”) e non hai avuto altri problemi personali, allora non sei sfigato.
Sei solo un fannullone.

E sia chiaro. Questo potrebbe anche essere un diritto.
Ognuno può e deve vivere la propria vita secondo la propria volontà e secondo il proprio senso del dovere.. e anche la propria dignità.

Ma allora, per favore, chiunque voglia esercitare questo diritto, almeno abbia la decenza di non offendersi se qualcuno non lo eleva a modello per le nuove generazioni, o per i coetanei.

Per favore piantiamola con questo buonismo che fa carne di porco dei talenti a favore della strenua difesa di coloro che decidono, consapevolmente, di sprecare la propria intelligenza e il proprio tempo.

E ora linciatemi perché, personalmente, credo sia più giusto se non doveroso per un Governo spronare i ragazzi a fare sempre più e meglio rispetto al passato.
Linciatemi perché credo che sia giusto sostenere il talento.
Linciatemi perché al buonismo qualunquista, preferisco la sacrosanta, seppur dura, verità.


Metti un lunedì di fine gennaio…

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Un lunedì importante.
O meglio, oggi é un lunedì che segue a un week end importante.
In primis perché il dibattito a livello nazionale si é concentrato sui contenuti del decreto Monti, quel famoso “Cresci, Italia” tanto atteso.

Come già detto, Catricalà aveva promesso che il 20 gennaio il Governo avrebbe presentato i contenuti del decreto e, infatti, così é stato.
Importante, dunque, perché, finalmente, dopo settimane di scioperi, di vesti stracciate, di minacce e quant’altro, finalmente tassisti, farmacisti e altri professionisti hanno qualcosa di concreto su cui basare la propria protesta, abbandonando di fatto la contestazione preventiva e a prescindere che ha dominato la piazza mediatica (ma non solo, vedi il Circo Massimo di Roma) dei giorni scorsi.
Con qualcosa di scritto, potranno capire se questo decreto ha realmente contenuti così punitivi sul fronte liberalizzazione e, quindi, scioperare di conseguenza.

Il secondo punto, a mio avviso importante, é dato dai due partiti che in questo week end hanno dato prova che la politica (propriamente intesa) non é del tutto sparita, anche in un frangente in cui la tecnocrazia sembra aver preso il sopravvento.
Parlo di politica territoriale, come quella “animata” dal PD attraverso le primarie che si sono svolte a Monza, e di politica glocale (globale ma anche fortemente locale), attivata dalla Lega Nord che ha dato vita a una manifestazione antiMonti a Milano in piazza Duomo.
Due momenti politici diversi, che al di là dell’aver incidentalmente avuto luogo nella stessa giornata -domenica 22 gennaio- hanno ben altro in comune.
Senza dubbio, la volontà di “contarsi“, cioè di comprendere la forza quantitativa dei propri “militanti” e afecionados, nonostante le temperature di questi giorni non siano proprio ideali per invogliare la gente a uscire di casa.
Un secondo elemento, é la voglia di “marcare” il territorio, cioè di farsi vedere attivi dal proprio elettorato: una sorta di dimostrazione che il partito non si é addormentato sugli scranni di Montecitorio, non si é preso una pausa e nemmeno si é concesso il lusso di una parentesi sonnacchiosa in cui delegare ad altri la gestione del potere.
In questo senso, credo che la vivacizzazione delle piazze sia stato un bene, per far comprendere come il tecnogoverno non sia realmente riuscito a esautorare del tutto la politica dal suo ruolo.

Evitando di entrare nei contenuti dei due eventi, mi limito a sottolineare come questo primo week end politico del 2012 sia stato, sostanzialmente, importante.

O meglio importante se inteso in termini preliminari, come un qualcosa che possa inaugurare una nuova stagione politica di confronto, di attivismo e di presenza.

Ma soprattutto, importante se da momenti come questi si riuscirà nell’arduissimo compito di far riavvicinare le persone alla politica, farle tornare a credere in qualcosa e soprattutto a riaccendere la voglia di partecipare.

Per far questo, credo che servirà ben più di una manifestazione di piazza.
Per il momento, però, teniamoci stretto questo bell’inizio.